Metti una sera al Joia
Miano. Il sabato prima del Salon du Chocolat.
Volevo mangiare da Leemann da quando me ne aveva parlato un amico mentre lavoravamo insieme al Ristorante di Daniel Canzian. Mi ricordo una sera in bici con l’aria fresca a pedalare per i vicoli di Milano appena finito il servizio e arrivare nel retro delle cucine del Joia per scambiare due chiacchiere con i ragazzi. Io non conoscevo nessuno. Per lui era quasi casa poichè ci aveva lavorato. Sarò di parte ma il dietro le quinte per me è la parte più affascinante…
Questa volta però siamo entrati dall’ingresso principale e ci siamo seduti in uno dei tavoli della piccola sala. I colori richiamano il row, il naturale e i lucernai riprodotti mi danno l’impressione di essere dentro una serra. Nella sala regna una stupenda armoia, soprattutto tra i ragazzi che si destreggiano tra i tavoli per assecondare e soddisfare i commensali.
E’ il mio posto. E la sua filosofia che non abbraccia i canoni tradizionali della stragrande maggioranza dei ristoranti, la adoro. Prendere una stella e mirare alla seconda facendo “Alta cucina vegetariana”… beh, nulla da aggiungere.
Abbiamo scelto il menù più completo che c’era in proposta: Zenith (Potete farvi un’idea delle proposte nella sezione MENU del loro sito). Perchè per una volta che ci vengo, e dato che per me non è la normalità, voglio assaggiare tutto quello che posso.
Non starò a tediarvi descrivendo ogni piatto, ma nella gallery vedrete tutte le foto e sognerete un po’ con me.
Alle prime due entrée io ero già innamorata persa.Come il colpo di fulmine con uno sconosciuto che ti guarda e ti sorride.
La prima, una tavolozza con “le verdure del nostro orto da abbinare a casaccio alle salse che le accompagnano: Geniale.
La Seconda un vasetto che pare una piantina di carota.
Il resto delle portate, 14 in tutto, considerando le entrèè, il predessert e la piccola pasticceria, sono la semplicità elaborata del mettere in risalto gli ingredienti. Un esperienza sensoriale. Come credo giusto che sia in un luogo in cui non si viene per “mangiare”, ma per incontrare la filosofia di uno chef che ha fatto del cibo il proprio mezzo di espressione.
Esattamente come vi avevo raccontato per le Calandre e come devo ancora raccontarvi per il Magorabin.