Sa Pa, cosa fare, cosa vedere, dove stare
Sa Pa, due giorni indimenticabili di trekking nel nord del Vietnam
Primo giorno
Arrivo alla stazione dei bus di Sa Pa la mattina alle tre, ma il pullman fa sosta per farti dormire ancora due ore.
Mi sveglio alle 5 perché è troppo caldo, nella cuccetta loculo si soffoca, si suda: scendiamo tutti.
Tutto intorno il mondo ancora dorme, nella tipica lentezza dell’Asia, anche se la luce è già alta e l’aria è fresca. Tengo la felpa con piacere, dopo il caldo soffocante della città, i venti gradi di qui sono davvero un regalo.
Abbiamo un ora di far nulla aspettando il contatto di Mama Su che chi venga a prendere per portarci alla sua homestay.
Ad un certo punto arriva, con un foglio sgualcito con i nostri tre nomi. Sono con due ragazzi americani dello stesso ostello di Hanoi, saliamo sul taxi.
Mezz’ora di strada improbabile, tutta dissestata e rotta, ma con un panorama mozzafiato che scende da Sa Pa city verso la valle colma di risaie e verde.
Arriviamo a casa di Mama Su. Non è in città ma nel mezzo di Sa Pa, ai piedi delle montagne, tra le coltivazioni, tra il verde è il silenzio.
Abbiamo un’oretta prima che gli altri si sveglino per fare colazione tutti insieme.
Ci fa poggiare nelle nostre stanze e indica dove fare una doccia se vogliamo: vogliamo.
È casa sua, ha 5 stanze, 33 anni, tre figli e un dente d’oro.
Parla inglese piuttosto bene, non sa leggere nè scrivere.
Ha delle coltivazioni di riso, polli, zucche, bamboo. Tutto per auto sostentamento, il suo business è ospitare gente e fare da guida tra i meravigliosi paesaggi di Sa Pa mentre il marito bada alla casa, agli animali, ai lavori vari per sistemare tutto.
Le cresce della marijuana in giardino. Ogni tanto la fumano con una pipa-bongo ricavato dal bamboo che le cresce davanti casa e che ci cucinerà per cena. Non è droga, è normalità. E Non esiste tempo.
Arriva l’ora di colazione e anche i ragazzi che hanno dormito ieri qui si svegliano. Mangiamo le crepe con le banane, le uova e un caffè.
Scarpe da ginnastica, mantellina per l’eventuale pioggia, crema solare, occhiali e acqua. Non serve molto altro. Il cielo è azzurro con le nuvole che sembrano panna ma non sai mai come possa virare il tempo.
Si inizia il trekking, dieci chilometri in questi paesaggi, tra campi, fango, riso, verde che commuove, bambine e donne bellissime che vestono abiti tipici, colorati, con espressioni totalmente diverse da quelle della città. Meno dure, meno consumate, più vive. Ogni tanto ci ritroviamo i piedi immersi nel fango perché piove tutti i giorni, il culo per terra dopo qualche scivolone. Ma nulla di pericoloso, basta non formalizzarsi troppo e non essere schizzinosi.
Tutta la mattina in giro, si rientra verso le 15 dopo un pranzo vicino a una cascata in cui ci siamo rinfrescati e mille bambine e donne cercando di venderci i braccialetti tipici della zona fatti ti tessuto colorato.
La ragazza svizzera che è con noi ne prende 20 per 80 VDN (nemmeno due euro…)
Ho l’abbronzatura da camionista, per il sole che scalda la pelle dove non c è la maglietta, ma poco importa. Ho gli occhi pieni di meraviglia. Davvero.
Qui è pace. Lontano dai clacson di Hanoi, dal grigio, dal traffico. C’è solo natura .
È in bellezza diversa da Ninh Binh, ma altrettanto stupenda. Forse di più.
La sera diamo solo noi tre e la ragazza svizzera. Mama Su ci prepara la cena alle 18.30 con i prodotti del suo orto e passiamo la serata a ridere e chiacchierare di nulla, come si riusciva nelle gite di classe del liceo.
Abbiamo anche indossato gli abiti tradizionali con tanto di cesta di vimini per raccogliere le “cose” nei campi: bellissimi.
Non sembra ma tra la notte mezza in bianco, il viaggio, i chilometri camminati e il sole, siamo mezzi brasati.
Inizia a diluviare, fa quasi freddo. Ci ritiriamo nelle nostre stanze che sono poco più grandi del letto che le occupa. Un piumone e una zanzariera a baldacchino. Non dormivo così bene da mesi. Non ho idea di che ora sia. E non importa.
Spesso, “less is more”.
Secondo giorno
Mi sveglio da sola verso le sette anche se la colazione è alle 8.30. Facciamo il bis di ieri e ci avviamo.
Oggi andiamo sulle montagne. Siamo fortunati perché ha piovuto tutta la notte ma ora è bello, c’è il sole ma un po’ velato.
Saliamo l’equivalente di 85 piani per arrivare in cima e vedere le risaie di Sa Pa dall’alto. È bellissima, mi ricorda le mie amate Langhe, tutta ordinata, tutta verde. Riso al posto delle vigne. Mama Su ci racconta che d’inverno fa anche un metro di neve. Deve essere bellissima anche lì. Bianca, ovattata.
Anche oggi camminiamo fino alle 15 circa, mangiando per pranzo la loro tipica zuppa di noodle di riso, buonissima, e bevendo un caffè alla vietnamita. Questo proprio mi mancherà. È caldo, nero, intenso, quasi pastoso.
Poi ci dirigiamo verso la città dove ognuno andrà per la propria strada proseguendo il viaggio.
I ragazzi tornano ad Hanoi, la ragazza svizzera va a Ninh Binh e io mi avvio verso Ba be lake, un lago nel nord sconosciuto al mondo a quanto pare…
Abbiamo qualche ora per vedere Sa Pa city: è una città a tutti gli effetti che mi ricorda le città di montagna della nostra Val d’Aosta, ma meno attrezzate per il freddo che qui non è mai così intenso e sono molto più kitsch. Hanno luci colorate come fosse Natale appese tra i palazzi, nelle pizze, sulle pareti degli hotel.
Facciamo prima un salto al mercato perché voglio prendere una gonna tipica delle donne Sa Pa e poi andiamo verso la città.
Ci dirigiamo al Coffee in the clouds, il caffè con forse la migliore vista di tutta la valle. Purtroppo inizia a piovere e l’umidità forma nuvole scure e basse che offuscano un po’ la vista, ma resta comunque magnifica. Mangiamo un boccone insieme e poi ognuno va per la sua strada.
Mi aspettano 14 ore di viaggio verso Ba be. Si chiudono altri ricordi fissi dietro gli occhi. Il Vietnam ti entra nel cuore. (Se vuoi conoscere le altre mete, leggi tutti gli articoli che ho scritto!)
Sa pa, con la sua pace, le sue risaie, il suo verde, il suo trekking, ti rapisce anche di più.